Spesso i genitori hanno la convinzione che dare dei limiti e dire di no ai propri figli sia un trauma o un indice di cattiva genitorialità. In realtà, come dice la psicoterapeuta infantile Asha Philips nel suo libro “I no che aiutano a crescere”, “un no non è necessariamente un rifiuto dell’altro o una prevaricazione, ma può invece dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità”. Quest’ultima nel suo lavoro, passando in rassegna le varie fasi dello sviluppo emotivo, sottolinea quanto importante sia per un genitore (o per qualunque altra figura che abbia un ruolo educativo) porre dei limiti al proprio figlio, al fine di favorire la sua crescita personale, nonché la sua piena realizzazione in quanto singolo. La frustrazione, in effetti, intesa come la sensazione di essere ostacolati nel raggiungere un obiettivo o soddisfare un desiderio, è inevitabile, e intrinsecamente legata a molte delle sfide e degli imprevisti quotidiani: educare a tollerarla partendo dalle fasi più precoci può rappresentare la chiave per lo sviluppo di una buona resilienza emotiva. 

Come viene evidenziato in numerosi studi, infatti, già dai primi mesi il bambino sembra in grado di contribuire attivamente alla costruzione della relazione primaria con il caregiver. Quest’ultima deriverebbe dall’incontro tra due individualità che, attraverso un’interazione continua, creano un sistema di aspettative implicite che possono, talvolta, venire disattese. Tali “rotture” non sono da intendersi in senso negativo se transitorie e sostenute da motivazioni valide; possono di contro trasformarsi in vere e proprie opportunità di crescita in quanto permettono al bambino di iniziare a fare esperienza della differenza tra l’avere e il volere, portandolo a provare emozioni talvolta anche forti, quali il dolore, lo sconforto e il rifiuto: il tutto in funzione di una ritrovata armonia e riparazione finale. È l’assenza di quest’ultima, difatti, ad essere all’origine del trauma, non il conflitto in seè per seè. 

I limiti e le regole sono da intendersi, dunque, come cancelli di protezione, non come atti punitivi, in quanto stimolano e motivano l’individuo a sviluppare nuove risorse e competenze utili per fronteggiare situazioni dagli esiti imprevedibili e potenzialmente frustranti. Tutto ciò, a patto che tali paletti vengano imposti in maniera ragionevole, coerente e assertiva, evitando di procurare nel figlio stati di disperazione e ansia eccessivi. Con la crescita, infatti, saranno sempre più numerose le situazione nelle quali i ragazzi subiranno dall’esterno delle regole che non sempre condivideranno; anche in ambito relazionale, nell’interazione con i pari, nell’istituzione delle prime relazioni amorose accadrà spesso di ricevere feedback e risposte diverse da quelle ambite e sperate: saranno dunque frequenti le occasioni nelle quali si richiederà al singolo di richiamare alla mente quelle strategie che, se sviluppate gradualmente nel corso della crescita, favoriranno una buona regolazione emotiva, prevenendo eventuali condotte disfunzionali e disadattive, dannose per sè e per gli altri, evitando che l’individuo si lasci sopraffare dagli eventi e dai vissuti emotivi negativi ad essi connessi. 

Adriana Lorusso – Dottoressa in Psicologia del Centro Serenamente