Abbiamo già trattato di bullismo in relazione alle trasformazioni sociali e tecnologiche che negli ultimi decenni ne hanno fatto germinare una forma nuova: il cyberbullismo. Nell’analizzare le diverse manifestazioni del fenomeno, un’altra domanda potrebbe sorgere spontanea, ossia: c’è una differenza tra bullismo declinato al maschile e al femminile?

Appellandoci all’immaginario comune ci accorgiamo come usualmente si associ il bullismo perpetrato dai ragazzi maschi a modalità di prevaricazione più violente, fisiche, manifestamente aggressive; mentre al bullismo di cui si fanno protagoniste le loro compagne femmine tendiamo ad associare episodi e dinamiche di aggressione meno fisiche, prettamente di matrice psicologica e relazionale, come possono essere la diffusione di pettegolezzi, l’attacco alla reputazione personale e l’esclusione sociale. La figura della “bulla” si veste spesso nell’immaginario comune delle vesti romanzate delle “mean girls” dei film d’oltre oceano: popolari, alla moda e subdolamente crudeli. Ma questa differenza è solo una nostra impressione?

In realtà ormai da tempo sono diversi gli studi che si sono mossi a supportare questa distinzione qualitativa del fenomeno. Nel 2005 uno studio americano condotto da J. Archer, attualmente professore presso la Central Lancashire University, ha evidenziato proprio come le bulle femmine fossero più inclini ad avvalersi di metodi prevaricatori indiretti, non fisici, di un’aggressività prettamente psicologica, relazionale e sociale; fattore che le distingueva dai loro compagni maschi. I loro strumenti preferiti sembravano essere infatti la manipolazione della reputazione altrui tramite maldicenze e diffusione di informazioni false, insulti, comunicazione non verbale come occhiatacce, risatine e allontanamento fisico, e l’esclusione sociale dal gruppo dei pari.

Una preferenza per metodi di aggressività indiretta non significa certo però che questi provochino una sofferenza meno palpabile e profonda nella vittima rispetto a quella che seguirebbe un’aggressione fisica. Per un giovane ragazzo adolescente, infatti, l’inclusione nel gruppo dei pari, la possibilità di confrontarsi con loro e di creare legami relazionali significativi è fondamentale. È infatti in questa dimensione relazionale che i ragazzi possono vedere rispecchiata la loro nuova identità in formazione, è qui che possono sperimentarla, affermarla, confrontarla; solo entro la relazione con i pari possono trovare il supporto e la comprensione che nello stadio adolescenziale non può più trovare piena risposta nel rapporto verticale con l’adulto. Venendone privata la vittima di bullismo si vede negata la risposta a bisogni evolutivi fondamentali, e non può che conseguirne una sofferenza profonda, anche se spesso silenziosa.

Quello che fino a qualche decennio fa era dato per verificato dalla comunità di ricerca internazionale oggi però sembra essere messo in discussione, nel quotidiano, da notizie di cronaca che sempre più frequentemente raccontano il bullismo femminile con termini che ci colpiscono per violenza ed efferatezza. Dimentichiamo risatine e occhiatacce per parlare di pestaggi e aggressioni fisiche in piena regola. Ci può stupire leggere sui giornali nazionali articoli che trattano di episodi di bullismo ferocemente aggressivi, nei quali i nomi degli aguzzini sono nomi di ragazze, per di più ragazze giovanissime. Eppure secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, su circa 8.000 adolescenti tra i 14 e i 19 anni, il 4% delle giovani adolescenti ha commesso atti di cyberbullismo, oltre 2 ragazze su 10, hanno fotografato o filmato un compagno a fine denigratorio, mentre il 7% di loro ha messo in atto violenze fisiche o verbali. Dato certamente preoccupante: 7,5% delle ragazze dichiara di aver attivamente partecipato a risse, e il 2% di aver usato un’arma. Ma come possiamo spiegarci questo fenomeno?

Data la sua attualità non possiamo ancora rifarci ad alcuno studio condotto nel nostro paese al riguardo; oggi ci è quindi difficile parlare propriamente delle cause che potrebbero sottostare a questo cambiamento violento e repentino senza cadere in risposte semplicistiche e non verificate. Possiamo però concentrarci nel tentare di comprendere in cosa consista la continuità motivazionale permeante tutti gli episodi di bullismo, indipendentemente dalle forme e dalle modalità attraverso le quali questi si manifestino. Il fine di un comportamento prevaricatore sull’altro, tipico del bullismo, si fonda sul bisogno del bullo di accedere a una posizione di dominio all’interno del gruppo dei pari per assicurarsi l’accesso privilegiato a risorse sociali e relazionali come status, amicizie, attenzioni, relazioni romantiche, supporto, sicurezza, riconoscimento sociale e salvaguardia dell’autostima. I metodi che le ragazze adolescenti impiegano per assicurarsi questa posizione dominante nella gerarchia del gruppo dei pari può cambiare nelle forme, più o meno violente, ma rimane costante nei fini, e forse è su queste motivazioni di base che è importante spostare l’attenzione. Le risorse relazionali che le ragazze bulle ricercano, sia per vie di aggressione indiretta che tramite l’aggressività fisica vera e propria, come sempre più spesso accade, sono risorse di cui hanno bisogno in quanto adolescenti, allo stesso modo in cui ne hanno bisogno le vittime delle loro sevizie, che ne vengono così da loro private. Ma attenzioni, supporto, popolarità, intimità emotiva, relazioni romantiche non sono risorse limitate. L’approvvigionamento di un membro del gruppo non preclude la soddisfazione degli stessi bisogni da parte dei suoi compagni. La differenza si trova nelle modalità che ogni ragazzo impara ad usare per assicurarsi tali risorse relazionali. Quando i riferimenti comportamentali e relazionali a cui è esposto un giovane adolescente nel quotidiano si modellano su uno stile prevaricatore, violento e disfunzionale, il ragazzo non potrà far altro che emularne a sua volta le modalità nei suoi contesti relazionali. Anche la semplice assenza di modelli relazionali positivi rende difficile per gli adolescenti discriminare tra modalità di socializzazione positive adattive e modalità negative disadattive.

È fondamentale quindi che gli adolescenti vengano educati a stare in relazione con i loro pari, che imparino come assicurarsi le stesse risorse relazionali e a trovare risposta agli stessi bisogni evolutivi che ricercano tramite atteggiamenti prevaricatori sfruttando positivamente le loro competenze relazionali, creando una rete sociale supportiva e accogliente in grado di rispondere a tali bisogni, e nella quale non ci sia posto per prevaricazioni e violenze. I nostri adolescenti spesso non sanno come dare risposta ai loro nuovi bisogni, che possono essere soddisfatti solo contestualmente al gruppo di coetanei. E qui, in un’incapacità relazionale e nell’insicurezza data dalla paura di rimanerne privati, nascono le dinamiche disfunzionali che originano il bullismo in tutte le sue forme e in tutte le sue declinazioni: diretto, indiretto, maschile e femminile. Per quanto sia importante analizzare da vicino le diramazioni che nel tempo articolano il fenomeno del bullismo, è ancora più importante scavare alla ricerca delle cause prime che le originano, perché è attraverso la comprensione di quest’ultime che si intervenire per salvaguardare il percorso armonico e sereno dei nostri ragazzi negli anni più importanti e complessi del loro sviluppo.

Marina Pozza – Tirocinante del Centro Serenamente